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La guerra di Umberto
Scritto da Pacifico Cofrancesco   
09/18/08
Indice articolo
La guerra di Umberto
E la storia inizia...
La guerra d'Etiopia
La "Libbretta"
Umberto in Libia
La "vita a patir di fame"
"Prisoner of War" in India
la corrispomdenza coi familiari
l'Australia di Umberto
Il ritorno a casa
File PDF scaricabile

La “vita a patir di fame”

Umberto scrive:
“Dal giorno 4 fino al giorno 15 gennaio tra Ponticello e Capuzzo.
Giorno 15. Imbarcato al porto di Solum. La nave diretta per Alessandria d’Egitto, dove siamo sbarcati nel pomeriggio del giorno 16 [gennaio] 1941.
Giorno 19. Partiti d’Alessandria d’Egitto in treno portandoci nei dintorni di Porto Said dove ci toccava a patir di fame più delle altri parti.
Giorno 15-2-41. Partito da Port Said portandoci in treno a Suez e in giornata stessa siamo imbarcati sulla Nave Varela Glasgow e siamo stati fermi due giorni a Suez.
Partiti da Suez, giorno 17-2-41 diretti per l’India.”
Iniziò così la prigionia di Umberto, come quella di molti altri soldati italiani fatti prigionieri a Bardia. Umberto arrivò ad Alessandria d’Egitto in nave e fu trasferito a Port Said in treno. Altri prigionieri furono meno “fortunati” e camminarono per giorni e giorni nel deserto nord-africano, prima di raggiungere i porti di partenza per la loro destinazione finale, come prigionieri di guerra.

Qualcuno degli italiani fatti prigionieri allora ricorda come fossero “belli” i soldati australiani e indiani che combattevano a fianco dei britannici. Guido Granello nella sua “storia di vita” racconta che: “Gli australiani sembravano tutti ufficiali. Bella gente, grandi, tutti bei lucidi, con questo grande cappello. Avevano la macchinetta a spirito e si sono fatti il tè. Hanno mangiato un po’ di biscotti e si sono bevuti il tè. E noialtri là con le mani alte, pieni di pidocchi, a guardare.” (C. Pavan, “Al fronte e in prigionia”, p.27)

Nel Giornale del cadetto inglese Philip Dilworth imbarcato su una nave della British India Steam Navigation Company, dei soldati australiani non viene data un’immagine altrettanto “bella”. Scrive dei prigionieri italiani che la sua nave trasportava dall’Egitto all’India:

“Gli italiani erano in uno stato miserevole, infangati, affamati, con uniformi sporche, e molti di loro non indossavano alcun tipo di scarpe. Un giorno ingaggiai una conversazione con un prigioniero [italiano], sapeva parlare inglese abbastanza bene. Poteva essere stato un mio vicino, una volta a casa – tuttavia qui portava un’uniforme a brandelli, non aveva né scarpe, né stivali. Nel suo inglese esitante mi disse che era stato catturato a Bardia dalle truppe australiane, arrivate di recente in Nord Africa ed erano molto impegnati a mandare souvenir a casa. [...] Mi disse che molti di loro si erano ubriacati col vino italiano trovato a Bardia, e come conseguenza molti prigionieri erano stati maltrattati. L’equipaggiamento italiano era molto più povero del nostro – tuttavia gli stivali militari italiani, fatti di pelle di suino, erano decisamente superiori, essendo più morbidi e confortevoli di quelli dei britannici o degli australiani. Pare che gli australiani a Bardia andassero in giro tra i prigionieri misurando i propri piedi con quelli dei prigionieri e prendendo gli stivali che erano del numero giusto”.
(http://www.merchantnavyofficers.com/dilworth3.html )

I nostri poveri soldati erano sconfitti, umiliati, affamati e senza scarpe. E con questo spirito e in queste misere condizioni i prigionieri di Bardia vennero trasportati in varie parti del mondo, alcuni in India, altri in Australia, altri ancora, come Guido Granello, in Sud Africa. Umberto Cofrancesco ebbe come destinazione l’India.



Ultimo aggiornamento ( 09/18/08 )
 
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